Trama
Il film ritrae quattro amici benestanti amanti del convivio (chiamati semplicemente con i nomi dei loro interpreti) che si riuniscono nella villa di Noiret. Nelle loro intenzioni c’è il tentativo di un “suicidio gastronomico”: i quattro infatti decidono di cucinare prelibatissime pietanze e mangiare senza mai smettere, fino a morire di indigestione. Durante l’infinito banchetto, ospitano tre prostitute ed una maestra elementare che quasi casualmente si unisce a questa disperata missione.
Tra dissolutezza e psicosi, aforismi e gag scatologiche, sesso e umiliazioni, quella di Ferreri e del suo cast a ruota libera è una favola scabrosa ed invernale, una “all you can eat quarantena” esasperata che guarda direttamente nell’abisso, in una apocalisse personale, fisiologica e sociale di tutti e senza tempo. Con il suo senso del macabro e una malinconia sporca quanto rasserenante, La Grande Abbuffata, commedia nera viscerale e sviscerante, è uno dei più grandi trionfi della mortificazione mai realizzati, capace di mettere in scena tutta l’insensatezza della condizione umana, tra decadenza e abbondanza. Semplice ma stratificato, crepuscolare e insieme goliardico, il compendio di genio e spudoratezza di Ferreri oggi brilla più che mai, tra esuberanze indigeste e indecenza sardonica, punto d’incontro irripetibile tra comicità alta e bassa (quando non orgogliosamente bassissima) eppur sempre ferace e puntuale.